L'estratto


1. Fiorenzo

Quella domenica mattina Fiorenzo si svegliò e si accorse di aver dimenticato di mettere la sveglia. Era già tardi, così uscì di corsa senza nemmeno prepararsi la colazione e si avviò verso la sua meta preferita.

Fiorenzo era libero il sabato pomeriggio e la domenica. In questi giorni, da solo oppure insieme a un cugino e altri amici, se ne andava in giro per il Cilento a raccogliere erbe spontanee o funghi e a volte solo per passeggiare nei boschi, affascinato da questi luoghi.

Il Cilento è famoso per essere la patria della “Dieta Mediterranea”, ma anche per la bellezza dei suoi paesaggi. Quando era immerso nella prorompente natura del Parco Nazionale, Fiorenzo si sentiva rinascere. Non avrebbe più potuto fare a meno di queste escursioni e della vista mozzafiato che offrivano alcuni punti del Cilento.

All’ora di pranzo si recò in un paesino della zona per comprare qualcosa da mangiare. All’entrata di un piccolo negozio era affisso il seguente annuncio: “Vendesi casa rurale con cinque ettari di terreno.”

Fiorenzo entrò e l’accolse una giovane e sorridente donna. Restò un attimo sorpreso, non si aspettava di trovare una ragazza a gestire un negozio alimentare in un piccolo paese.

Ripresosi, chiese: «Buongiorno. Ha panini?»

«Certamente! Li vuole vuoti o farciti?» chiese la donna. «Cosa ci potrebbe mettere dentro?» Chiese Fiorenzo. «Abbiamo prosciutto, sia crudo che cotto, salame, salsiccia, caciocavallo e formaggi vari.»

«Purtroppo non mangio né carne né formaggi» si rammaricò lui.

«Allora potremmo metterci tonno e pomodori o melanzane sott’olio.»

«Perfetto. Allora ne faccia uno con tonno e pomodori e l’altro con le melanzane.»

Mentre la donna preparava i panini, Fiorenzo chiese: «L’annuncio del podere in vendita chi l’ha messo?»

«Un mio zio che è emigrato. Ci viene solo d’estate. Le interessa?»

«Potrebbe interessarmi. Con chi dovrei parlare?»

«Può parlare con me. Sono autorizzata anche a mostrarle la proprietà, ho le chiavi. Poi, se realmente interessato, la metterò in contatto con mio zio.»

La donna lasciò il bancone e si diresse verso Fiorenzo: «Io sono Gisella. Piacere di conoscerti.»

Strinse forte la mano a Fiorenzo, provocandogli un leggero turbamento.

«Piacere. Sono Fiorenzo» rispose balbettando.

Non si era accorto di quanto fosse affascinante la donna. Occhi grandi e neri come i capelli. Viso illuminato da un sorriso coinvolgente. Una fossetta della simpatia sulla guancia sinistra. Alta poco meno di Fiorenzo, con un corpo slanciato e ben proporzionato.

«Non sei di qua, vero? Hai uno strano accento» chiese Gisella.

«Sono svizzero, ma ho studiato in Italia.»

«Svizzero? Che bella dev’essere la Svizzera! Dove hai studiato?»

«A Bologna. Mi sono laureato in Scienze Agrarie e da qualche anno lavoro in un’azienda a Battipaglia.»

«E come ci sei finito a Battipaglia?»

«Il lavoro me l’ha trovato mio zio, fratello di mio padre. In realtà mio padre era originario di Salerno ed è emigrato in Svizzera da giovane. Mia madre invece è svizzera.»

«Scusami, hai detto tuo padre era

«Sì, purtroppo l’abbiamo perduto tre anni fa per un grave problema di salute.»

Cresciuto in Svizzera, dove era nato, in un paesino del Canton Ticino, Fiorenzo aveva sempre avuto un costante e continuo rapporto con l’Italia. Il suo stesso nome era stato il risultato di un compromesso. La madre, svizzera, lo avrebbe voluto chiamare Florence, mentre il padre, di origine italiana, ottenne di italianizzarlo in Fiorenzo.

Gli piacevano del Sud Italia soprattutto le forti relazioni parentali, le feste e l’allegria, cose che in Svizzera gli mancavano; lì la frequentazione con i parenti non esisteva per il giovane, che manteneva solo rapporti con qualche amico e compagno di scuola.

Proprio con un gruppo di amici condivideva la sua passione per la montagna, per i boschi e per il mondo delle piante, che lo aveva affascinato da sempre, tanto che, terminate le scuole secondarie, si era iscritto alla facoltà di Scienze Agrarie: sarebbe diventato agronomo e avrebbe lavorato a contatto con la natura.

Dietro consiglio dello zio, che lavorava nel settore, si era iscritto all’Università di Bologna, un’ottima Università nel campo delle scienze agrarie, che per di più non era molto lontana dalla Svizzera.

Fiorenzo aveva perso il padre circa tre anni prima per una malattia incurabile. Era una persona solare, aperta, di facili relazioni, curioso, pronto ad esplorare il mondo e a fare sempre nuove esperienze.

La mamma era una persona dolce e garbata, riservata, ma sempre pronta al sorriso con il figlio che adorava.

Nella personalità, come nel fisico, Fiorenzo aveva preso un po’ dell’una e un po’ dell’altro, col suo carattere tranquillo, riflessivo, che metteva chiunque a suo agio e infondeva fiducia.

Aveva l’aria di chi non avrebbe detto mai una bugia. Parlava sempre e solo quando era necessario e a ragion veduta: una virtù particolarmente rara in un mondo di chiacchieroni, un mondo che ha paura del silenzio, perché non sa comunicare in nessun altro modo se non con la parola o con i messaggini.

La discrezione, il garbo, l’eleganza e il rispetto degli altri e della natura a Fiorenzo li aveva trasmessi la madre. Il padre gli aveva trasmesso la forza di volontà, il piacere di relazionarsi con gli altri e la voglia di esplorare e conoscere il mondo.

«Mi dispiace. Scusami per la domanda» disse Gisella.

«Si figuri, è la vita.»

«Che fai, mi dai del Lei? Qua ci diamo tutti del tu.»

«Bene. Diamoci del tu» disse Fiorenzo sorridendo.

Gisella tornò dietro al banco, mise i panini in un sacchetto e

chiese: «Vuoi altro?»

«No, grazie.»

Fiorenzo pagò, lasciò il suo biglietto da visita e fissarono un appuntamento per visitare il podere la domenica successiva. Gisella gli scrisse il suo numero di telefono su un pezzo di carta e subito dopo si salutarono.

Ritornato in montagna, lasciò la macchina in uno spazio sotto un albero e si avviò lungo un sentiero. Il sorriso di Gisella l’accompagnava, facendo da sottofondo ai suoi pensieri. Le salite, anche le più ripide, ora erano più leggere. Si meravigliava di come si fosse facilmente aperto con Gisella. Non era da lui parlare di cose così personali a una sconosciuta.

Non vedeva l’ora che arrivasse domenica per dare un’occhiata al podere. Sarebbe potuta essere un’occasione.

La domenica successiva, in perfetto orario, Fiorenzo si recò presso il negozio di generi alimentari. Gisella non era sola, con lei c’era un signore anziano. Appena sceso dall’auto, lei gli presentò suo padre, il signor Attilio. Più tardi, la ragazza gli avrebbe spiegato che da queste parti era sconveniente per una donna nubile andare in giro da sola con un uomo se non era il fidanzato.

Fiorenzo fece salire i due in macchina e partirono.

Dopo dieci minuti arrivarono al podere: un posto incantevole. Fiorenzo ne rimase affascinato e se ne innamorò subito.

Il podere comprendeva cinque ettari di terreno e una casa rurale in buone condizioni. Chiese il prezzo e restò sorpreso: era molto meno di quanto si aspettasse. Senza indugio chiese a Gisella di procurargli un incontro telefonico con lo zio e lei si attivò subito, contenta come se stesse acquistando lei il podere.

Fiorenzo chiamò lo zio di Gisella il giorno dopo e si misero subito d’accordo. L’uomo era contento di vendere il podere a un giovane volenteroso, la nipote gliene aveva parlato molto bene.

Il tempo di adempiere a tutte le pratiche burocratiche per l’acquisto, l’accensione di un mutuo ventennale, le pratiche per il contributo di primo insediamento di un giovane in agricoltura e dopo circa un mese, Fiorenzo si ritrovò proprietario del podere nel Cilento.

La domenica successiva si recò in paese e andò a salutare Gisella, ma il negozio era chiuso. C’era un cartello con su scritto “Sono al bar”. Così si recò al bar e là la trovò.

Appena lo vide, gli andò incontro, si complimentò per l’acquisto del podere e lo presentò agli astanti: «Questo è il dottore che ha comprato il podere di mio zio.»

Da giorni non si faceva altro che parlare di lui in paese. Erano tutti curiosi di conoscere questo giovane.

Gisella lo invitò a sedersi a un tavolo e ordinarono un caffè, subito dopo, curiosa gli chiese: «Sei veramente deciso a venire ad abitare qua?»

«Certo! Perché sei così sorpresa?»

«Perché da questo paese i giovani scappano. Cosa ti ha colpito di questi luoghi?»

«Sono sempre stato innamorato della natura, degli animali e delle piante.»

Intanto si era formato un capannello di curiosi intorno al tavolo dove si erano seduti Gisella, Fiorenzo e la figlia della proprietaria del bar.

«Per questo hai studiato agraria?» chiese la ragazza.

«Sì! Il mondo delle piante mi ha sempre affascinato.»

«Ma che c’è di tanto affascinante?» chiese incuriosita Gisella.

«La tua domanda conferma il fatto che le piante sono poco conosciute, anzi, molti non le conoscono affatto. Tu le conosci?»

«Abbastanza» rispose Gisella.

«Ecco, quando chiedo a qualcuno: “Conosci le piante?” Mi rispondono quasi sempre: “Certo!” Molti sono convinti di conoscerle, soprattutto chi lavora nel modo dell’agricoltura. In realtà le conosciamo molto poco. C’è qualcuno che è convinto di conoscerle solo perché riesce a distinguere la specie o perfino le varietà appartenenti a quella specie, ma in realtà le conosce solo in apparenza. Se sappiamo il nome di una persona e chi sono i genitori, possiamo dire di conoscere quella persona? No! Non possiamo. Così come non sappiamo nulla della vera natura delle piante, non conosciamo il loro mondo, come vivono e, soprattutto, come si relazionano tra loro e con gli altri esseri viventi. Per esempio, vi siete mai chiesti perché le piante vivono ancorate al suolo, sempre nello stesso luogo?»

«No!» rispose sincera Gisella e gli altri annuirono.

«Perché non sentono il desiderio di spostarsi e viaggiare che spinge o costringe gli animali e soprattutto gli uomini a farlo?»

«Non me lo sono mai chiesto» disse pensierosa Gisella.

«Sappiamo che gli animali si spostano alla ricerca di acqua, cibo e chissà cos’altro. Gli uomini, invece, si spostano per la curiosità di vedere e conoscere, oppure per cercare nuove opportunità. A volte scappano dalla povertà o dalla crudeltà di dittatori spietati. Le piante no, restano dove nascono, anche se in pericolo non scappano mai.»

«È vero! Non ci avevo mai pensato» aggiunse la ragazza.

«Vediamo di capirci meglio. Vi posso fare un’altra domanda?» «Certo!» dissero tutti in coro.

«Secondo voi le piante ce li hanno i sensi?»

«In che senso? Non capisco» rispose imbarazzata Gisella. «Tutti sappiamo che l’uomo è dotato di cinque sensi: vista, udito, olfatto, gusto e tatto. Le piante ce li hanno i sensi?» «Non mi risulta» disse Gisella.

«Credo di sì!» rispose la ragazza dubbiosa.

«Ebbene sì! Anche le piante hanno i sensi. Io sono agronomo, il mondo delle piante è la mia passione e il mio lavoro. Sono specializzato nella nutrizione e nella difesa delle piante. Ma, posso affermare di conoscerle veramente? Certo, conosco la fisiologia e le patologie delle piante, so come si alimentano, conosco le malattie che contraggono e so come prevenirle e curarle, ma non mi sento di poter affermare di conoscerle a fondo.

Qualche tempo fa una collega mi ha posto questa domanda e sono rimasto smarrito e confuso. Credevo di conoscere bene le piante avendole studiate, ma mi sono reso conto che delle piante conoscevo solo quello che interessa all’uomo: come si nutrono, come si ammalano, come prevenire le malattie per difenderne la produzione, come farle crescere, come far sviluppare frutti abbondanti e belli per raccoglierli dopo e senza chiederne il permesso. Come se le piante fossero devote al dio “Uomo” a cui tutto è concesso.»

Fiorenzo viveva a stretto contatto con le piante, dopo la laurea a pieni voti aveva trovato lavoro come tecnico in un’azienda agricola, che era specializzata nella produzione di rucola e lattuga in serra. Il suo compito era quello di tenere sotto controllo lo stato di salute delle piante e massimizzarne la produzione.

Le operazioni ordinarie erano programmate attentamente. Fiorenzo si occupava della nutrizione e della difesa delle piante. La nutrizione era mirata, seguiva il reale fabbisogno delle piante e la si effettuava in fertirrigazione. Con questa tecnica si dava alle piante, insieme all’acqua, esattamente quanto necessario, senza sprechi. Magari si facesse la stessa cosa con l’uomo, si potrebbero tranquillamente sfamare tutti!

La produzione sarebbe stata conferita ad un’azienda commerciale che ha un disciplinare di produzione della rucola e della lattuga molto severo.

Per il controllo delle malattie è consentito l’uso di pochi principi attivi fra quelli ammessi sulla coltura dal Ministero della Sanità. Alla raccolta si accettano solo tracce dei prodotti ammessi e, comunque, al di sotto dei limiti consentiti dalla legge che ha autorizzato l’immissione in commercio dell’agro- farmaco.

La produzione così ottenuta è molto sicura per il consumatore, ma è molto complicata per il tecnico.

Ci sono molte variabili che possono influenzarne il risultato: la luce, la temperatura, l’umidità, il possibile attacco da parte di funghi, batteri, virus e insetti. Fra l’altro, i consumatori sono molto esigenti, vogliono prodotti belli e la bellezza non sempre va d’accordo con la qualità: come volere una bella donna, simile a quelle che si vedono alla tv, ma che non sia andata dal parrucchiere, non si sia truccata, non abbia indossato bei vestiti.

Il lavoro di Fiorenzo è affascinante, ma è anche difficile e stressante. Si deve assumere troppe responsabilità per poter portare a termine il suo lavoro. Inoltre, ci sono troppi vincoli burocratici. La burocrazia gli fa perdere molto tempo, mortificando la sua intelligenza e professionalità e spesso solo per compilare moduli e documenti che nessuno mai leggerà.

Un signore tra i presenti chiese: «Le piante non sono state create per essere al servizio dell’uomo?»

«Non credo. Le piante sono state create come gli animali e l’uomo. Una volta si pensava così anche di alcuni uomini: uomini inferiori nati per servire uomini superiori, negli anni della schiavitù. Il padrone sapeva perfettamente come sfruttare uno schiavo, sapeva distinguere addirittura in quale attività ogni razza eccelleva, ma il più delle volte non sapeva nulla di loro. Non conosceva il loro passato, la loro cultura, le speranze e le paure che alimentavano la loro esistenza, cosa li faceva resistere e andare avanti nonostante le continue mortificazioni del corpo e dello spirito. Non si ribellavano e accettavano con rassegnazione lo sventurato stato dell’essere schiavo. D’altra parte, se le piante fossero state create per servire l’uomo, non esisterebbero le piante velenose, le spine e la gramigna, come non esisterebbero le zanzare. Ma ritorniamo alla domanda di prima. Quanti sensi hanno le piante?»

«Non saprei. Certamente meno degli uomini!» Rispose sicura Gisella. «Quattro?» tentò timida la ragazza.

«Delle piante si conoscono almeno quindici sensi in più dell’uomo, in totale venti.» Mormorii di stupore fra i presenti. Fiorenzo continuò: È sorprendente vero? Sì, anch’io sono rimasto sorpreso quando l’ho scoperto. Le piante hanno il senso del gusto, percepiscono la luce e il calore, sentono i terremoti, avvertono l’arrivo della pioggia, del freddo e della bella stagione. Le piante percepiscono a che distanza si trova l’acqua nel terreno e come fare per raggiungerla. Le radici delle piante, quando incontrano le radici di altre piante cambiano direzione per rispetto, per non invadere la zona di competenza delle altre. A volte ci sono piante che hanno un comportamento invadente, ma sono eccezioni. Le radici cambiano direzione anche quando incontrano sostanze tossiche, segno che riescono a discernere cosa è bene e cosa è male. E potrei continuare a raccontarvi tanto altro sulle piante.»

Poi guardando Gisella diritto negli occhi, incurante dei presenti: «Adesso capisci perché le amo?»

«Le piante?» Domandò Gisella rapita dal suo sguardo. «Certo... le piante» rispose Fiorenzo dopo una breve esitazione. «Sì! Adesso capisco. Mi hai illuminata. In effetti le piante le ho sempre viste e trattate come un accessorio al mondo animale. Tu adesso me le mostri da un’altra prospettiva.»

«Fiorenzo, io mi chiamo Carolina e ne vorrei sapere di più su questo mondo» disse supplichevole la ragazza. «Sarò felice di assecondare la tua voglia di sapere» rispose lui. «Promesso? Ogni volta che verrai al bar mi racconterai qualcosa?» «Promesso!» disse Fiorenzo.

Subito dopo Gisella si congedò perché doveva andare ad aprire il negozio.

Fiorenzo, dopo qualche altra chiacchiera con i presenti, li salutò e tornò al podere.


2. Il podere nel Cilento

Dopo l’acquisto, ogni fine settimana si dedicò alla ristrutturazione della casa rurale, aiutato da un manovale e da un muratore del luogo. Il fabbricato era costruito con spesse mura portanti in pietra e il tetto aveva travi in legno e copertura in tegole.

Fiorenzo comprò il podere a un prezzo molto conveniente.

La casa aveva anche un magazzino, un salone, una cucina abitabile, un bagno e tre camere da letto.

Il magazzino aveva il pavimento in cemento, ma Fiorenzo lo sostituì con uno in pietra naturale. Le mura intonacate con cemento le fece stonacare e le rivestì con lastre di pietre, così il magazzino si sarebbe mantenuto più fresco e lo avrebbe utilizzato anche come cantina. La casa rurale con la cantina acquistò una nuova identità e risultò più completa.

Il vino e l’olio sono prodotti vivi, il produttore ne controlla l’evoluzione e, col tempo, dopo complesse trasformazioni, restituiscono un prodotto unico, che regalerà grandi soddisfazioni.

Il salone aveva il pavimento in cotto in buono stato e Fiorenzo decise di non toccarlo, mentre intervenne sulle mura, rivestendo anche queste con lastre di pietra: il risultato fu straordinario, la pietra dava un senso diverso all’ambiente, faceva compagnia e dava calore, mentre prima ci si sentiva quasi degli intrusi in un ambiente anonimo. Non c’è niente da fare, la pietra è un materiale sapiente, che ospita con discrezione e competenza.

Sulla parete più lunga, al centro c’era un camino leggermente ribassato rispetto al pavimento, e così dava maggior sollievo quando ci si sedeva di fronte nelle giornate fredde. Soprattutto nelle giornate di pioggia, quando non si poteva uscire e l’esigenza della meditazione ti bloccava sul divano a far finta di guardare la televisione accesa. L’ozio e il freddo gelano i piedi e il caldo che arrivava direttamente agli arti inferiori dà un gran sollievo.

Al centro del camino c’era una catena con un gancio, serviva per appendere la pentola di rame che, discreta e affidabile, avrebbe cotto gli alimenti preferiti con delicatezza.

Al centro della sala un grande tavolo rettangolare, costruito con robuste pedane in legno, e otto sedie, anch’esse costruite con le pedane che Fiorenzo aveva reperito nelle aziende agricole, quelle che si utilizzavano come piano di appoggio per il trasporto dei concimi.

Fiorenzo era un convinto riciclatore, recuperava le pedane in legno che normalmente e faticosamente sostenevano i sacchi dei concimi. Le pedane, ben liete di questo nuovo e meno faticoso compito, erano trattate con prodotti naturali e destinate ad altri usi. Fissate alle pareti, avrebbero offerto numerosi anfratti per ospitare libri e oggetti vari.

La camera da letto scelta da Fiorenzo aveva il tetto costruito con travi e contro-soffittatura in legno. Anche le mura erano rivestite in legno fino a metà e il pavimento era realizzato in parquet dello stesso materiale. Il legno, ricordi di vita vissuta, dà calore e concilia il sonno.

Nella camera c’era un letto matrimoniale in ferro battuto e due comodini realizzati sempre con le pedane di legno. Di fronte al letto, per tutta la parete e protetto da una pesante tenda di colore amaranto, un armadio a scomparsa, pronto a fare la magia di far sparire gli indumenti. Loro avrebbero cercato di mettersi in mostra per compiacere chi li avrebbe indossati, tranne alcuni, che non si sarebbero mai adattati al volere di chi li portava. Indipendenti, a volte contrastavano e a volte sovrastavano, mettendo comunque in cattiva luce chi li indossava. Quelli che non avevano piacere ad essere indossati mostravano sempre un difetto, così sarebbero rimasti nell’armadio. Quelli che amavano mettersi in mostra convincevano sempre il proprietario ad indossarli, anche quando, a detta di altri, non gli stavano proprio bene.

Il bagno era essenziale, come voleva una casa rurale i cui abitanti avevano poco tempo per passarlo a compiacersi; era dotato di un wc, un bidet, un lavabo e una vasca da bagno.

Fortunatamente c’era anche il bidet, non avrebbe potuto farne a meno e non sapeva capacitarsi di come potessero farne a meno in altri posti.

Delle tre camere, quella centrale e che aveva l’ambiente più intimo e più adatto alla concentrazione, sarebbe stata adibita a studio e radicalmente modificata: le mura tinteggiate con calce viva, il pavimento realizzato in cotto. L’intenzione di Fiorenzo era di creare un ambiente caldo e accogliente, sarebbe stato il suo rifugio.

Il terreno intorno alla casa aveva una pendenza ridotta, con un lieve avvallamento nella zona più bassa. Era terreno fertile, dove si poteva coltivare di tutto.

Lo stato attuale vedeva la coltivazione di tre ettari a oliveto della varietà Salella, cultivar autoctona diffusa negli uliveti della provincia di Salerno, infatti non se ne riscontravano altrove. La cultivar Salella è una pianta molto bella, foglie di un bel verde scuro, portamento assurgente e chioma folta, carattere fiero e saggio. Le olive prodotte sono di ottima qualità, utilizzate sia da tavola che da olio.

L’olio mono cultivar che se ne ricava è inserito a pieno titolo nell’Olio Extravergine di Oliva Cilento DOP. Ha un colore verde chiaro con riflessi giallo paglierini, odore fruttato, intenso, di mela verde ed erba, di sapore equilibrato, leggermente amaro e piccante. Richiama alla mente sapori antichi, mai dimenticati, ed è ritenuto dagli esperti un olio di qualità eccellente.

Fiorenzo si era innamorato subito di queste piante. Davano un senso di pace e nello stesso tempo di grande vitalità, fiere e perfettamente consapevoli della loro importanza. In futuro avrebbe dedicato loro tanto tempo e attenzione, fino a riconoscerle una per una.

Sui restanti due ettari c’era qualche pianta sparsa di ciliegio, pero, melo, mandorlo e noce. La parte più a valle, circa un ettaro, era utilizzata per la coltivazione di fave, ceci e ortaggi vari.

A fondovalle c’era un pozzo con acqua potabile, che serviva sia per irrigare l’orto che per la casa.

Dopo due mesi di lavoro, sia la casa che il terreno avevano acquistato una nuova immagine. La casa esternamente era stata tinteggiata con calce viva, come si faceva una volta. Il terreno senza recinzione era tutto verde: Fiorenzo aveva favorito la crescita delle erbe a foglia stretta e adesso tutto il terreno sembrava un grande prato di un bel verde intenso, come se ne vedono in Scozia. Si riconosceva da lontano e d’estate sarebbe sembrata un’oasi in un deserto.

Fiorenzo, nel suo immaginario, aveva sempre visto la campagna con prati verdi e alberi di olivo e così aveva disegnato la sua. Aveva realizzato un sogno e si sa che i sogni, per definizione, raramente si compiono, forse per questo sono ancora più belli.

Agli abitanti del paese era piaciuto moltissimo quanto fatto da Fiorenzo. Molti erano andati a trovarlo per complimentarsi. Ognuno, come si usava quando si visitava una nuova casa, aveva portato qualcosa.

Zia Mena gli aveva portato due grandi cesti realizzati da lei e Zi’ Antonio uno l’aveva riempito con vino, noci, fichi e un grande pane fatto con farina di grano duro. Zi’ Mario aveva portato un vecchio aratro in ferro che aveva in magazzino, ricordo di suo padre che faceva l’agricoltore.

Erano tutti contenti, finalmente un giovane che amava vivere in questi luoghi e che si era trasferito qua dalla città. La speranza era che s’invertisse la rotta e qualcun altro potesse ritornare. Il desiderio, appena sussurrato, era che il paese potesse ripopolarsi come nel passato, quando negli anni Sessanta contava più di tremila anime.

Il podere di Fiorenzo, finiti i lavori, era diventato il più bello e metteva in evidenza tutto l’amore e la passione che il nuovo proprietario aveva per la natura.